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Prima di tutto il bene degli studenti con disabilità

Intervista a Dario Ianes di Giorgio Genta

Docente di Pedagogia e Didattica Speciale, fondatore e anima culturale del Centro Studi Erickson, è Dario Ianes il protagonista del nuovo “viaggio nella società inclusiva” di Giorgio Genta, insieme alle “famiglie con disabilità”. E con lui proviamo a spiegare alcune “parole-chiave” del mondo della disabilità scolastica, come BES (Bisogni Educativi Speciali), Assistente sociale e altre ancora

Dario Ianes

Terzo personaggio che incontriamo (il numero ordinale è del tutto casuale, gli altri, in ordine altrettanto casuale, erano stati Tillo Nocera e Andrea Canevaro), di quella che per noi è la “Trimurti” che vigila sull’integrazione scolastica dei nostri figli con disabilità, Dario Ianes, docente di Pedagogia e Didattica Speciale all’Università di Bolzano, fondatore e anima culturale del Centro Studi Erickson di Spini di Gardolo (Trento), è una persona estremamente poliedrica: pensatore, docente, manager, organizzatore di grandi eventi culturali.
Più conosciuto dagli insegnanti e dagli operatori del sociale che non dalle famiglie, lo invitiamo a spiegare a queste ultime – con la semplicità di linguaggio propria del buon docente – alcune parole-chiave del mondo della disabilità scolastica di oggi e di domani.

In quest’ultimo anno si parla sempre più di BES. Ma per giocare con le parole stesse di questa sigla, “Bisogna Essere Specialisti”, per capire i Bisogni Educativi Speciali?
«L’espressione BES (Bisogno Educativo Speciale) è relativamente nuova e raggruppa tutte quelle situazioni degli alunni che hanno qualche tipo di problema nell’apprendimento e nello sviluppo. Ci sono situazioni di disabilità “classica” (ad esempio la sindrome di Down), i disturbi dell’apprendimento (il caso più frequente è la dislessia) e tante altre situazioni di svantaggio socioeconomico, culturale, problemi di comportamento e relazione, problemi emozionali.
Ma cosa accomuna queste situazioni così diverse? Le accomuna il fatto che i loro bisogni educativi normalissimi (ad esempio di sviluppare autonomie o autostima ecc), per varie circostanze trovano maggiore difficoltà ad essere soddisfatti nell’interazione con l’ambiente: in questi casi, un bisogno educativo normale diventa “speciale” e richiede dunque un intervento educativo e didattico che è appunto “speciale”, cioè migliore, più efficace. E questo, naturalmente, nei contesti normali di vita, scuola, famiglia e comunità, che vanno arricchiti di competenze tecniche necessarie.
Le recenti disposizioni del Ministero sugli alunni con BES [Direttiva Ministeriale del
27 dicembre 2012 e Circolare Ministeriale 8/13, N.d.R.] vanno nella direzione di una scuola più inclusiva, che riconosca ad ogni alunno con una qualche difficoltà il diritto a un percorso individualizzato e personalizzato. È insomma un passo avanti nella direzione dell’equità».

Erickson: una felice avventura editoriale? Una “fabbrica di attrezzi del mestiere” per insegnanti? Un “termometro gigante” che misura la temperatura della qualità dell’integrazione scolastica e sociale nel grande convegno biennale dedicato? [Il prossimo convegno biennale è in programma a Rimini dall’8 al 10 novembre, N.d.R.].
«Quando iniziammo a pubblicare libri con Erickson, nel 1984, eravamo giovani psicologi dell’apprendimento che lavorando a fianco degli insegnanti e degli educatori (io lavoravo allora come psicologo di alcuni Centri ANFFAS, l’Associazione Nazionale Famiglie di Persone con Disabilità Intellettiva e/o Relazionale), ci rendemmo conto della necessità di avere materiali pratici e utili per favorire gli apprendimenti e la partecipazione.
Abbiamo quindi iniziato a tradurre materiali, a scrivere e a raccogliere colleghi sulla stessa sintonia, anno dopo anno. Poi l’incontro con Andrea Canevaro mi ha portato sempre più dentro i temi dell’integrazione scolastica. Oggi è una grande soddisfazione vedere il percorso fatto e il contributo che Erickson ha portato in questo campo».

Assistente sociale: si tratta di una professione troppo onnicomprensiva per essere svolta da una persona semplicemente “umana”? (Nota per i Lettori distratti, tra i quali chi scrive lo è in maniera patologica: cosa c’entra l’assistente sociale con la disabilità a scuola? C’entra, c’entra assai! Oppure no?)
«Nella mia carriera di docente universitario ho iniziato proprio nei corsi per assistenti sociali, mentre come volontario lavoravo a Trento in una cooperativa sociale con le famiglie delle persone con disabilità (esattamente la Cooperativa la Rete, di cui ricordo tanti e tanti gruppi di auto mutuo aiuto…) e credo che la figura dell’assistente sociale possa diventare un perno organizzatore di una rete di interventi e di Istituzioni che spesso parlano linguaggi diversi. Questo ruolo di mediazione e di potenziamento delle risorse delle famiglie è prezioso».

«Le Province Autonome di Trento e di Bolzano e la scuola: fucina di metodologie didattiche innovative, “scuola di cervelli”, trionfo dell’organizzazione»: quanto sono vere queste affermazioni?
«Le Amministrazioni Pubbliche di queste due Province, le scuole e le università hanno saputo gestire abbastanza seriamente la grande quantità di risorse economiche derivanti dalle autonomie speciali. Abbiamo certo molte risorse, ma anche un capitale umano fatto di cooperazione sociale e di tenacia da “montanari”. Qualcosa di innovativo l’abbiamo fatto nella scuola, ma non dobbiamo chiuderci tra le ridenti montagne, dobbiamo uscire e coinvolgere le tante altre realtà italiane che si trovano in situazioni diverse».

Ma a livello nazionale il bene degli studenti con disabilità lo si fa lavorando dentro, a fianco o talvolta contro le Istituzioni ?
«Si deve fare il bene degli studenti con disabilità! E le famiglie sono un attore fondamentale del sistema, partner principale che tutela il raggiungimento dei fini dei processi di integrazione scolastica. Un alunno con disabilità va a scuola per imparare un sacco di cose, per socializzare bene con i compagni e per ricevere e fare  anche qualche invito alle feste di compleanno… questi sono i fini veri dell’integrazione. Le famiglie devono controllare i fini, i risultati. Anche a costo di conflitti.
Credo che la qualità dei processi di integrazione non sia tanto nei mezzi (ad esempio il numero delle ore di sostegno), quanto nei risultati concreti in termini di apprendimento e partecipazione dentro e fuori la scuola che l’alunno raggiunge. Su questi si deve fare una battaglia, se necessario, perché questo è il valore dell’integrazione».

Grazie, professor Ianes, di averci aiutato a “calmare” (non ho sbagliato, come al solito, volevo proprio scrivere “calmare” e non “colmare”) la sete informativa delle nostre famiglie, in “formato tascabile” con questa intervista, in grande misura con i suoi ottimi testi.

Dario Ianes, docente di Pedagogia e Didattica Speciale all’Università di Bolzano, fondatore e anima culturale del Centro Studi Erickson di Spini di Gardolo (Trento).

10 settembre 2013
Ultimo aggiornamento: 11 settembre 2013 17:19

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