FONDAZIONE HA.REA ONLUS
Famiglie con disabilità: buon combattimento!
Intervista a Simona Bellini e Chiara Bonanno di Giorgio Genta
Come avevamo dunque preannunciato nei giorni scorsi, parte con questa nostra “doppia intervista” la rubrica che abbiamo intitolato “La famiglia con disabilità. Viaggi nella società inclusiva”, interamente dedicata, appunto, a tutti i tipi di “famiglie con disabilità”, per raccontarne – fuor di ogni sensazionalismo – la vita quotidiana, ciò che fanno e ciò che vorrebbero fare
Particolare dell’immagine di copertina di “Vestita di nuvole” di Simona Bellini
La disabilità è “femmina”.
Oltre che nel genere del sostantivo anche nella realtà. Le donne portano
il peso di tutte le disabilità, anche di quelle al maschile, perché sono la
struttura portante della famiglia con disabilità. Lo portano da madri, da mogli,
da figlie. E naturalmente portano anche le disabilità loro.
Iniziamo dunque questa nuova rubrica, con un’intervista a due donne, Simona
Bellini, vera “pasionaria” dell’eterna battaglia per il prepensionamento dei
genitori di persone con disabilità grave o gravissima e Chiara Bonanno,
curatrice del blog
La Cura Invisibile
che ha raccolto l’adesione di più di mille caregiver familiari.
Se non sbaglio, Simona,
sono diciotto anni che combatti per il prepensionamento dei genitori di persone
con disabilità grave o gravissima. Dove hai trovato tanta energia e
perseveranza?
«Confesso che ho avuto diversi e profondi momenti di sconforto, ma la “forza
del gruppo” ha sempre avuto la meglio. Gli appelli accorati di tanti
familiari, storie di stanchezza e di dedizione assoluta e soprattutto la
speranza di tante persone che hanno visto in questa battaglia un barlume di
attenzione nei confronti delle famiglie con disabilità, condannate a quell’invisibilità
assoluta che le Istituzioni e certo associazionismo favoriscono, invece di
combattere. L’incontro con Chiara [Bonanno, N.d.R.] è stato poi
fondamentale perché il suo apporto a 360 gradi, la sua visione più globale del
problema e la sua preparazione hanno dato un contributo determinante, oltre a
garantire quel ricambio reciproco nell’incredibile mole di lavoro necessaria a
portare avanti le istanze delle famiglie.
E tuttavia anche un altro aspetto ha rappresentato per me un grandissimo
sostegno, la presenza nella mia vita del mio compagno di vita e di mia figlia,
entrambi disabili. Salvatore richiede attenzioni e tempo, ma
quando c’è da sostenermi, non si risparmia in nessun modo ed è sempre in prima
linea accanto a me. E poi c’è mia figlia Letizia che non comunica
verbalmente, ma i suoi occhi sono stati e saranno sempre lo specchio della mia
coscienza. Fino a che ci sarà lei una cosa è certa, non mollerò! [la storia
di Simona è anche nel libro “Vestita di nuvole”, Milano, Sperling & Kupfer,
1996, N.d.R.]».
In tutti questi anni
trascorsi “senza portare il risultato a casa”, pur essendovi andata più volte
assai vicina, non ti sei sentita un po’ presa in giro dai politici ?
«In realtà nel corso del tempo ho maturato convinzioni diverse. All’inizio era
come dovere sfondare un muro dietro l’altro: l’ignoranza assoluta del problema,
il lassismo imperante, altre priorità… In seguito è subentrato il dubbio di non
essere abbastanza forti e numerosi per rispondere agli “appetiti” di una
politica disattenta e assai diversamente orientata. Ora sto maturando la
certezza che dietro a questo rifiuto istituzionale del riconoscimento di un
ruolo – fondamentale sia dal punto di vista etico che sociale – ci sia un vero e
proprio disegno che vuole le persone con disabilità – e le famiglie che di loro
si curano – il più possibile divise e in conflitto, allo scopo di
distrarre risorse e progettualità dal welfare al business.
Stiamo pagando, come tutti del resto, ma con più gravi e profonde conseguenze,
l’annullamento del valore della famiglia come risorsa, il livellamento ai minimi
termini di una cultura sociale parziale, ma comunque duramente conquistata, la
negazione delle fragilità, quelle fragilità che cozzano troppo con una
società, distratta e assorbita dall’apparire, che vogliono a tutti i costi farci
sentire come nostra».
Moltissime persone ti
stimano per la tua battaglia. C’è però qualcuno che ti imputa di avere troppo
insistito sul prepensionamento – escludendo altri possibili obiettivi – anche
quando era già tramontata la stagione politica ed economica che avrebbe potuto e
dovuto renderlo possibile…
«Credo che sia ancora poco chiaro il vero motivo del mio accanimento,
soprattutto per chi non vive la quotidianità di un lavoratore impegnato
ventiquattr’ore al giorno. Sembra incredibile, ma il diritto al riposo, alla
vita sociale, alla salute sono diritti umani fondamentali, ormai
universalmente riconosciuti in tutto il mondo civile, mentre vengono negati –
quotidianamente e da sempre in Italia – a tutta una categoria di persone che
annullano interamente la propria esistenza, rifiutandosi di vivere a totale
carico della società e producendo quindi reddito, nonostante l’impegno
incredibile cui fanno fronte in sostituzione di uno Stato assente, quello
dell’assistenza globale a un familiare gravemente disabile. L’ingiustizia
formale e sostanziale di queste situazioni è più che sufficiente a far gridare
vendetta nei confronti di uno Stato che non può e non deve nascondersi
dietro le contingenze storiche ed economiche. Se non siamo più in grado di
riconoscere le assolute priorità dei diritti più elementari che una nazione
dovrebbe garantire, possiamo anche smettere di considerarci “civili”, da
subito!».
Dal “prepensionamento” al
riconoscimento della figura del caregiver familiare. Qual è stata la molla del
cambiamento di strategia ?
«Senza dubbio l’incontro con Chiara Bonanno. Erano anni che percepivo la
necessità di allargare la battaglia a tutti coloro che si fanno
carico dell’assistenza di un familiare gravemente disabile, ma non avevo una
preparazione sufficiente a farmi intravedere la soluzione. La storia
dell’amicizia con Chiara è abbastanza burrascosa – e lo è ancora, visto che non
riusciamo a stare più di qualche giorno senza discutere animatamente – ma ha
prodotto, e produce tuttora, un fermento di idee e di strategie che
riesce a stupirmi ogni giorno di più. E una cosa è certa, in questo percorso ci
stiamo mettendo tanto cervello (prevalentemente il suo), un pizzico di buon
senso (il mio?), ma soprattutto tanto cuore! E dato che di quest’ultimo ne
abbiamo da vendere entrambe, questa battaglia, per noi e per tutti quelli come
noi, la vinceremo!».
Il simpatico e “battagliero” logo scelto per il blog “La Cura Invisibile”
Con le ultime elezioni,
il quadro politico è profondamente cambiato. Pur nell’incertezza del momento,
quali pensi possano essere i riferimenti “tra gli eletti”? In altre parole, nel
nuovo Parlamento siedono anche dei caregiver familiari?
«Dalle notizie che abbiamo, questo è il Parlamento con il maggior numero di
caregiver familiari della storia della Repubblica. Tuttavia sono convinta che
tutti i Parlamentari e il mondo politico nella sua globalità dovrebbero
farsi carico del problema, anche se finora non lo hanno fatto, se non a parole.
Credo comunque che i tempi siano maturi e che la consapevolezza della necessità
di un cambio di rotta possa favorire non solo la soluzione al problema dei
caregiver familiari, ma anche una fondamentale presa di coscienza: quella che
risollevare dagli strati più bassi del diritto le fasce fragili della
popolazione offrirebbe opportunità di crescita a tutto il Paese. I
Cittadini sono pronti, lo hanno dimostrato con la loro voglia di riscatto e di
protesta, ma il mondo politico viaggia alla stessa velocità? Ne è cosciente?
Spero con tutto il cuore di sì e mi auguro che presto ce lo dimostrerà».
Chiara, dove e come è
iniziato il tuo sodalizio con Simona?
«Con Simona ci conosciamo da anni e malgrado le differenti vedute sul reciproco
impegno per la salvaguardia dei diritti legati alla disabilità, siamo state
spesso sulla stessa barricata. Alcuni mesi fa, da un confronto su un gruppo di
discussione di internet, si è cominciato a lavorare insieme sul ricorso
giuridico collettivo per il riconoscimento del familiare caregiver. Come ci
succede spesso… l’idea ci è venuta… discutendo».
Sei considerata un po’
come l’anima del blog che riunisce i caregiver familiari e che in pochi mesi ha
raggiunto più di mille adesioni. Immagino sia stato un lavoro faticosissimo! Ma
come è nata l’idea del blog?
«Avevo bisogno di raccogliere e diffondere l’enorme quantità di materiale
accumulato su questo argomento ed ero indecisa se scrivere un libro o metterlo
online. Quando è partita l’idea del ricorso collettivo, non ho avuto dubbi e ho
cominciato a mettere parte della documentazione sul web. In realtà questo
impegno rappresenta per me quel momento di relax ritagliato dal mio lavoro di
cura, che è prioritario, incalzante e, purtroppo, raramente tranquillo».
Sul blog ho letto la
bella e documentatissima comparazione tra la situazione dei caregiver italiani e
quelli del resto d’Europa. Come sei pervenuta a tutti quei dati?
«La mia curiosità sulla legislazione sociale straniera nasce – oltre che dal mio
impegno professionale – anche da un soggiorno con mio figlio in Danimarca, dove
ho avuto l’occasione di confrontarmi con familiari provenienti da diverse
nazioni europee. Abituata all’“invisibilità” delle famiglie italiane, mi stupì
molto l’attenzione e la tutela della famiglia attivata all’estero».
Recentemente la FISH
(Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap) ha recepito in un suo
documento l’essenza delle rivendicazioni dei caregiver familiari. Quali sono
stati e sono tutt’oggi i rapporti tra i caregiver e il mondo delle associazioni
delle persone con disabilità?
«Assurdamente conflittuali. In generale, infatti, a livello associativo c’è la
diffusa e falsata idea che qualsiasi investimento sulla famiglia riduca
l’attenzione sui diritti della persona con disabilità. Questo concetto ha una
precisa origine storica nella cultura associativa italiana, che nasce e si
sviluppa in un contesto orientato all’istituzionalizzazione come risposta
prioritaria ai bisogni delle persone con disabilità e che, quindi, risente
ancora del peso di quella modalità di approccio alla condizione di disabilità.
In realtà, escludendo il “volontario eremitaggio” o l’istituzionalizzazione,
qualsiasi essere umano è invece immerso in un reticolato di relazioni sociali
in cui la famiglia è il nucleo propulsivo. Ed è quindi ovvio che ogni intervento
debba partire proprio dal supporto e dal potenziamento di questo fulcro, per
garantire sul serio l’integrazione sociale dell’intera struttura che ha un
membro con disabilità.
Purtroppo questa concezione antiquata della disabilità, anche a livello
associazionistico, fa il paio con gli interventi sociali tipicamente residuali
presenti in Italia, che vengono attivati e garantiti solo in presenza di corposi
cedimenti del nucleo familiare di supporto, con soluzioni – soprattutto nel caso
di gravi disabilità – per lo più istituzionalizzanti. L’aspetto singolare è la
contrapposizione tra l’ideologia inclusiva ribadita dalla nostra
legislazione e il vincolo al bilancio: la legislazione tedesca, ad
esempio, molto meno idealista e propositiva, afferma chiaramente che è
economicamente più vantaggioso investire nel supporto dei Cittadini affetti
da gravi patologie e gravi handicap nel proprio domicilio».
Naturalmente Simona e Chiara
sono anch’esse caregiver familiari (mamme rispettivamente di Letizia e di
Simone) e combattono tutti i giorni e su tutti i fronti la battaglia che
riguarda la tutela dei diritti delle famiglie con disabilità.
Buon combattimento e “vincano le migliori!”.
17 aprile 2013
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